Riduzione dei parlamentari, perché è sbagliato

Uno dei cavalli di battaglia del M5S è il c.d. taglio delle poltrone, ossia la riduzione del numero di parlamentari, secondo una logica molto populista e semplice da far assimilare all’elettorato supino, ignorante e inconsapevole: se si riduce il numero di parlamentari, si riducono i costi e quindi gli sprechi e, conseguentemente, ci risparmiamo tutti.

tweet m5s taglio parlamentari

Ma è davvero così?

Secondo diversi esponenti del M5S, il taglio dei parlamentari, che prevede la riduzione del numero dei deputati da 630 a 400 e dei senatori da 315 a 200 (in totale da 945 a 600), porterà ad un risparmio di quasi 500 milioni di euro. Da qui la semplice equazione per cui riducendo il numero si riducono gli sprechi.

Le cifre, tuttavia sono molto soggettive, ampiamente interpretabili e ballerine. Fraccaro qualche mese fa parlava di un risparmio di 100 milioni l’anno, ma siccome la cifra non fa presa, oggi si parla di 500 milioni (a legislatura). E’ chiaro che si tende a sparare la cifra più grossa quando si parla di questi temi, perché se andiamo a considerare quanto guadagna in media un parlamentare, quanto restituisce allo Stato in termini di tasse e imposte, quanto gli viene rimborsato, il trattamento di fine rapporto e la pensione, la stima del risparmio si attesta intorno ai 50 milioni di euro l’anno, ossia poco più di un euro all’anno per elettore. E’ ovvio che con queste cifre non si ottengono consensi, ma se si sparano cifre grosse, l’opinione pubblica la si conquista facilmente.

Non è un problema di soldi

Ad ogni modo non è solo un problema di soldi. Perché se fosse solo una questione di risparmi dei bilanci pubblici, le soluzioni ci sarebbero, come quella di ridurre le voci di rendiconto (tipo rimborsi per spese telefoniche, alloggi, trasporti, ecc.) per cui i parlamentari a 5S, ossia i proponenti della legge sul taglio delle poltrone, sono i più spendaccioni in assoluto. Come dimenticare i 17.000 € di spese telefoniche di Paola Taverna o i 27.000 € di spese di benzina del Ministro Barbara Lezzi? (vedi).

Non è quindi una questione di soldi. E’ questione di rappresentatività. Il provvedimento s’inserisce perfettamente nella logica neo-liberista per cui vanno ridotte le voci di dissenso all’interno del sistema politico, in modo da favorire gli interessi dei gruppi di potere (banche, industria, lobby, ecc.) i quali si sostanziano meglio quando a decidere sono poche persone e coese, non solo all’interno del governo, ma in tutte le istituzioni di rappresentanza politica.

Non è un caso che il tema della riduzione dei parlamentari sia stato un punto fondamentale nel piano di rinascita democratica della loggia massonica P2, gestita da Licio Gelli. La finalità del piano era quella di privatizzare le istituzioni democratiche e gestirle in modo oligarchico, favorendo quindi gli interessi di grossi gruppi economici a svantaggio delle classi più deboli della popolazione.

Taglio dei parlamentari e dei finanziamenti pubblici ai partiti

Il provvedimento non va letto in sé per sé, ma alla luce del taglio dei finanziamenti pubblici ai partiti. Riducendo i parlamentari ed eliminando il finanziamento pubblico ai partiti si elimina ogni forma di partecipazione politica dal basso e alternativa alla visione dominante della gestione della cosa pubblica. In altre parole si impedisce a qualunque cittadino di organizzarsi in un partito o un movimento e di proporre una diversa visione del mondo.

I partiti che avranno le disponibilità economiche potranno dunque organizzarsi sul territorio, pagare le campagne elettorali, aprire sedi nelle città o nei paesi, stampare manifesti o organizzare incontri e dibattiti per far conoscere il proprio programma, mentre gli altri non avranno queste possibilità.

Quali partiti potranno permettersi tutto ciò?

Quelli che attualmente siedono in Parlamento o stanno al governo, per esempio, i quali potranno sfruttare parte delle indennità dei propri eletti per finanziarsi (come fanno tutti i parlamentari del M5S, versando ogni mese 300 € a Casaleggio), oppure quelli che ricevono soldi da investitori privati e hanno le risorse per ottenere maggiori risorse chiedendo, con l’aiuto dei media e costose pubblicità, il 2×1000 ai propri sostenitori.

Ora, è evidente che se un partito viene finanziato da un privato, sia esso una banca o un’industria o un lobbysta, dovrà in qualche modo ricambiare il favore. Non occorrono dimostrazioni per arrivare a capire ciò. E quindi le politiche pubbliche divengono ostaggio degli interessi privati. Ecco perché l’abolizione del finanziamento pubblico è stato uno sbaglio.

Eliminare lo strumento e non la causa

Con ciò non voglio difendere chi, finora, ha abusato del finanziamento pubblico, ma non si può eliminare uno strumento se viene utilizzato male. E’ come dire che si dovrebbe eliminare internet perché ci sono gli hacker o gli haters o gli analfabeti funzionali. Non si può dare colpa allo strumento, semmai a chi lo utilizza.

In questo quadro è ovvio che in parlamento accederanno solo i partiti già strutturati e finanziati in modo più o meno etico e più o meno lecito e quindi si elimina ogni voce dissonante, inoltre la riduzione del numero dei parlamentari se ridurrà in proporzione i seggi dei partiti dominanti, eliminerà in modo assoluto i seggi della minoranza, la quale – s’è detto – non avrà nemmeno la forza di presentarsi alle elezioni.

Così si crea maggiore distanza tra i parlamentari e gli elettori

Tra l’altro il provvedimento comporterà una riduzione e un conseguente allargamento geografico dei collegi elettorali e, quindi, un maggiore scollamento tra il parlamentare e il territorio di riferimento. Se già oggi si sente la distanza tra l’eletto e i suoi elettori, domani sarà anche peggio, visto che il parlamentare rappresenterà un collegio molto più ampio.

Il fumo negli occhi del sistema proporzionale

Anche qualora si dovesse sbandierare un ritorno ad un sistema elettorale misto tra maggioritario e proporzionale, in cui il M5S rivendicherà il suo ruolo di garante della democrazia, ciò non comporterà di fatto un allargamento in Parlamento a forze politiche alternative, vista l’impossibilità anche solo di presentarsi alle competizioni elettorali.

E anche qualora una forza politica nuova avesse la capacità economica di farlo ed entrasse in Parlamento, la riduzione del numero dei parlamentari graverà maggiormente su questa anziché in proporzione su tutti i gruppi parlamentari, con conseguente inutilità di fatto della presenza di una minoranza, giacché non si avrà nemmeno la forza numerica di avere i propri rappresentanti nelle commissioni parlamentari.

La realtà è che Lega e M5S si aggrappano alle poltrone

Ecco perché ridurre il numero dei parlamentari, in un quadro di impossibilità di formare soggetti politici alternativi a quelli dominanti (e, ribadisco, il M5S è solo di facciata alternativo, ma rappresenta gli interessi privati, in primis quello di Casaleggio Associati), date le ristrettezze economiche e in un Parlamento a numero ridotto, è una trovata antidemocratica e in linea con la visione neo-liberista e oligarchica già ampiamente concretizzata sin dall’epoca della P2.

Insomma, con la scusa di far risparmiare gli italiani, gli si impedisce di dissentire con l’unica forza che hanno: mettersi insieme e dettare una linea politica alternativa, con lo strumento del partito o del movimento. E quindi gli unici che trarranno beneficio da questo provvedimento sono quelli che attualmente detengono il potere politico.

Il vincolo di mandato

Non dimentichiamo che la Costituzione, all’art. 67, stabilisce che Ogni membro del parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato, il ché vuol dire che il parlamentare non è soggetto al suo partito, ma al suo elettorato e rappresenta non il programma del partito, ma l’interesse della nazione. Con la riduzione dei seggi, che vuol dire un posto più prezioso, però, saranno premiati solo i fedelissimi, ossia quei parlamentari che di fatto giureranno fedeltà al partito e non alla Costituzione.

Obiettivo: eliminare la democrazia

Presto ne vedremo delle belle, quando, oltre alla riduzione della rappresentatività parlamentare, si eliminerà di fatto anche il diritto di manifestare liberamente, per tutti tranne che per i sostenitori della maggioranza (tipo Casapound o Forza Nuova, giusto per fare i primi due nomi che mi vengono in mente).

Ma già qualche segnale ce l’abbiamo, vero? Inviare la digos a casa di una signora che aveva attaccato uno striscione o chiedere loro di far sequestrare il cellulare ad una ragazza o prendere a schiaffi una ragazza che manifesta – il tutto per una legittima contestazione a Salvini ma in generale all’attuale stato delle cose – non è una forma di repressione? Anche ridurre il numero dei parlamentari, eliminare il finanziamento ai partiti e tagliare quindi le gambe a chi vuole aggregarsi e fare politica, è una forma di repressione. Con la scusa del risparmio, però.

2 commenti su “Riduzione dei parlamentari, perché è sbagliato”

  1. Certamente la riduzione dei parlamentari creadi maggiore lontananza dai problemi dei territori, dagli elettori e dalla c.d. democrazia. “Democrazia” che è solo un coniglio meccanico. Vedi, tra una varia casistica…, il libro di Piergiorgio Odifreddi : ‘La democrazia è una religione laica che identifica le proprie basiliche nei palazzi del potere, la curia nel governo, gli ordini nei partiti, il clero nei politici, le prediche nei comizi, le messe nelle elezioni, i fedeli negli elettori, i confessionali nelle cabine elettorali e i segni della croce nel voto’.> e il libro di Jason Brennan.

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    • salve Prof, grazie per il tuo contributo! Concordo pienamente con te sul concetto di democrazia come coniglio meccanico. Il concetto di democrazia, oggi, privo dei rapporti di forze contrastanti tra loro, espressione degli strati sociali e quindi soggetto alle logiche neo-liberiste oramai dominanti a livello (quasi) globale, è solo una scatola vuota, un concetto da sbandierare nei discorsi e da difendere solo nelle sue apparenze. Gramscianamente vedo lo strumento della democrazia appunto come uno “strumento”, che produce i suoi effetti se al suo interno ci sono forze contrastanti che lottano per l’egemonia in un processo dialettico in cui la sintesi è il punto d’equilibrio che porta a piccoli o grandi progressi sociali. Ma venendo meno la forza contrastante (non mi riferisco solo alla caduta del comunismo, ma in generale a quanto analizzato da Bauman e altri sociologi o antropologi), cade tutto il processo e lo strumento perde la sua funzione. Quindi è facile che, come opportunamente hai citato, si cada nel misticismo o, peggio, nelle tifoserie da stadio.

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