In una recente intervista all’HuffPost, il capogruppo alla Camera del M5S Francesco d’Uva ritiene che uno dei problemi del M5S, che gli ha impedito di radicarsi nei territori, sta nel fatto che i Meet Up non sono mai stati riconosciuti dal Movimento e che invece andrebbero sostituiti con realtà riconosciute.

In altre parole stanno parlando di circoli, esattamente come fanno tutti gli altri partiti. Alla domanda se questa scelta poi non li renderà uguali agli altri, il d’Uva risponde che la loro diversità sta nel fatto che gli iscritti votano sulla piattaforma Rousseau. Questo, secondo loro, sarebbe più che sufficiente per renderli diversi dagli altri.

Ora non voglio soffermarmi molto sull’argomento dei circoli locali. Già in altri articoli ho parlato del tema e ho sempre sostenuto che qualsiasi soggetto politico, per potersi strutturare e progredire, deve necessariamente essere presente sui territori, attraverso strutture capillari, che si possono chiamare circoli, meet up, sezioni…non importa il nome, importa semmai un concetto molto più intimo ed essenziale: che queste realtà territoriali dettino la linea del partito (o del Movimento o come dir si voglia). Ma grande è la confusione sui cieli di Roma se i leader del M5S vogliono ristrutturare il movimento dando concretezza ai circoli ma lasciando che la linea politica si detti dall’alto, quando occorre e su una piattaforma privata, priva di garanzie e controlli.

Lasciando perdere quest’ultimo punto, l’aspetto preminente è che si dà ancora somma importanza allo strumento sottendendo che la linea politica sarà dettata come e quando serve al vertice, dunque secondo modalità proprie della democrazia rappresentativa di cui il M5S è sempre stato fermo detrattore, preferendo la democrazia diretta e partecipativa. Ma, amici miei, la democrazia diretta e partecipativa presuppone una dialettica libera, capillare e multiforme, che parta dal basso e che diventi sintesi grazie al contributo del vertice. Quando, invece, è il vertice a proporre i temi e gli iscritti si limitano a votare, questa è una forma di centralismo dittatoriale, mascherato da democrazia diretta, in cui l’opinione dell’iscritto è limitata ad un voto, non si manifesta in una discussione, in una tesi e nelle sue conseguenti antitesi e sintesi, non si sviluppa nell’analisi e nella conseguente decisione democratica. No, è solo un voto, un o un no, al massimo una scelta tra più opzioni.

Dunque, secondo questa visione del nuovo M5S, che si sta delineando in questi giorni, cambia la forma ma la sostanza resta immutata in quanto se si riconosceranno i circoli territoriali, questi non avranno la possibilità di esplicare il proprio contributo ma saranno – nella migliore delle ipotesi – centri di aggregazione, dispensatori di iniziative sul territorio, sedi fisiche dove ritrovarsi per parlare…tutte cose molto belle e utili, che però non cambiano la sostanza delle cose: la linea politica sarà sempre dettata dal vertice.

Questo perché?

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Perché il M5S nasce con un peccato originale, una deformazione mai curata che lo ha portato presto all’ascesa e ancor più presto alla sua (inevitabile) disfatta, una disfatta che potrebbe essere evitata se si operasse una discussione ampia e condivisa tra le anime del Movimento, ma che non ci sarà e quindi la disfatta sarà certa.

Il peccato originale è quello di essersi formato sui temi, di aver posto come dogma incrollabile il (falso) valore dell’onestà e di aver agito come movimento antisistema, come detrattore della casta e delle Istituzioni, sfruttando l’ondata di antipolitica che ha scosso l’Europa (e, direi, anche oltre) e raccogliendo presso di sé le istanze più disparate e antitetiche: da qui il consenso dei no-vax, dei complottisti, degli antieuropeisti e via dicendo. L’ascesa è stata rapida perché si è preferito costruire subito sulla sabbia piuttosto che lentamente su terre solide e, ovviamente, basta una piccola onda per buttare giù il castello di sabbia.

Senza un metodo dialettico, una visione d’insieme, un’analisi della storia, una capacità di disciplinare gli iscritti e di renderli coesi, senza un metodo di bottom-up e top-down, per cui il vertice istruisce la base e la base detta la linea politica al vertice, senza la formazione di una classe dirigente capace e consapevole del suo ruolo, i risultati del Movimento sono sotto gli occhi di tutti.

Inoltre, e concludo tornando nell’immanente, la scelta di governare a tutti i costi, anche a costo di essere subalterni ad un leader carismatico e capace sul piano politico, pur di occupare delle poltrone, ha fatto pagare un prezzo caro al Movimento. Come dimenticare quando, durante le consultazioni nel 2013, i grillini chiesero a Napolitano di governare da soli, senza numeri in Parlamento e con pochissima esperienza politica? Già allora scalpitavano per avere il potere.

Ma non è detto che il programma di un soggetto politico si debba realizzare necessariamente con il governo di una Nazione. Ci possono essere tante strade da seguire e anche dall’opposizione o al di fuori dei palazzi si possono ottenere risultati. Ma la necessità di governare, così sembra, non va di pari passo con la necessità di realizzare un obiettivo, bensì con la semplice e pura volontà di detenere il potere. Quand’è così la gente, anche quella più impreparata e incapace, se ne accorge, e agisce di conseguenza.

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