Si torna a parlare di Xylella fastidiosa dopo che un articolo apparso sul blog di Beppe Grillo ha fatto scalpore e ha provocato le reazioni di molti giornalisti, politici, intellettuali e anche dei suoi stessi sotenitori. A dire il vero, nonostante il titolo dell’articolo firmato dalla giornalista Petra Reski sia acchiappaclick (la bufalite della Xylella), il contenuto pone numerosi interrogativi. Ma, sappiamo bene, sono in pochi quelli che leggono gli articoli, mentre il resto della massa indistinta, non pensante ma commentante e dotata di indignazione ad intermittenza, si è scatenata contro Beppe Grillo (in pochi contro Petra Reski, dato che la sua firma non compare nel titolo, ma nell’incipit dell’articolo) reo di aver detto che la Xylella è una bufala. Lo ha fatto anche il neo sottosegretario all’Agricoltura del M5S, Alessandra Pesce, che ha contraddetto Grillo dicendo che la Xylella è, invece, un problema.
Insomma, questa benedetta Xylella è un problema o è una bufala? Prima di tentare di dare una risposta al quesito occorre però capire di cosa stiamo parlando. Dal 2013 ad oggi sono stati tanti, anche troppi, quelli che hanno parlato della questione, scatenando dibattiti, polemiche e tifoserie da stadio degne della miglior tradizione casinistica italiana, per cui se si va a fare una ricerca in rete si troveranno numerosissime tesi suddivise in negazionismi (la Xylella non esiste), in complottismi (è stata inventata dalla Monsanto per vendere fitofarmaci o ulivi OGM), in interventismi e allarmismi (occorre estirpare un milione di ulivi sani e irrorare tutta la Puglia meridionale con veleni, anche per via aerea, per bloccare l’epidemia).
Ma senza un minimo di conoscenza storico-scientifica non si può parlare della questione, altrimenti si rischierebbe di trasformare un dibattito squisitamente scientifico in un coacervo di opinioni personali del tutto prive di fondamento e utilità per parlare con consapevolezza della vicenda. Quindi facciamo un passo indietro e capiamo come nasce, come si evolve e quali sono le evidenze scientifiche che supportano l’una o l’altra tesi.
La storia della Xylella in Puglia
L’emergenza Xylella nasce nel 2013, ma è sin dal 2009 che il Co.Di.Le. (Consorzio Difesa Lecce) riceve, da parte di diversi olivicoltori, segnalazioni circa i disseccamenti di alcune piante d’olivo presenti nella zona intorno a Gallipoli. I sintomi dei disseccamenti iniziano ad essere evidenti già dal 2010, ma solo nel 2013 l’Osservatorio Fitosanitario Regionale pugliese inizia ad interessarsi del problema.
Ci sono voluti tre anni per far capire alla Regione Puglia che gli alberi iniziavano a seccare.
Solo il 18 ottobre 2013 la Regione Puglia emana una delibera con in oggetto “misure di emergenza per la prevenzione, il controllo e l’eradicazione del batterio da quarantena Xylella Fastidiosa associato al complesso del disseccamento rapido dell’olivo (CO.DI.RO.)”. Si giunge a tale delibera perché il CNR di Bari comunica alla Regione le risultanze degli esami di laboratorio in cui si evidenzia il ritrovamento, su alcune piante, di questi patogeni: zeuzera pyrina (o rodilegno giallo), funghi lignicoli, Xylella Fastidiosa.
Dato che la Xylella Fastidiosa è un patogeno inserito nella lista A/1 dell’EPPO (Organizzazione Europea e Mediterranea di Protezione delle Piante), l’Europa viene subito informata del fatto, la quale impone alla Regione Puglia e al Ministero delle politiche agricole e ambientali di porre in essere misure di contenimento nei confronti del batterio.
Tuttavia numerosi studi condotti in California (luogo dove la Xylella Fastidiosa abbonda e colpisce le viti e gli agrumi) evidenziano come questo ceppo del batterio (attenzione, si tratta di batterio. Molti lo hanno chiamato virus, confondendo ancor di più il dibattito) non colpisca gli ulivi. Ossia, in poche parole, può darsi che la Xylella Fastidiosa sia presente nelle piante, ma non sia affatto patogena, quindi non provochi i disseccamenti.
Del resto il 28 ottobre 2013 presso la Cooperativa ACLI di Racale (LE), in occasione di un seminario sul Complesso del disseccamento rapido dell’ulivo, si evidenzia proprio ciò. Il dott. Antonio Guario, dirigente dell’ufficio fitosanitario regionale e responsabile della task force che sta gestendo l’emergenza Xylella per conto della Regione afferma che “(…) Questi imbrunimenti non sempre sono associati alla xylella fastidiosa ma li abbiamo sempre associati alla presenza di funghi” (il video completo si trova qui).
Tra l’altro nel 2013 vengono effettuati circa 3500 test su diverse piante presenti nella zona del primo focolaio, ma solo 21 ulivi risultano positivi alla presenza del batterio (attenzione! Presenza, non patogenicità). Nonostante i dubbi e le incertezze sulla presenza massiccia del batterio, ad aprile 2014 vengono estirpate 104 piante in diversi presunti focolai della Provincia di Lecce. Le proteste, anche del mondo accademico, che ritengono la Xylella Fastidiosa non patogena sugli ulivi, portano il mondo scientifico pugliese a dichiarare che la Xylella Fastidiosa ha un gemello atipico, che proviene dal Costa Rica e che probabilmente era presente su alcune piante importate.
Il Salento, difatti, ha una lunga tradizione vivaistica e sono molte le piante esotiche che vengono importate, come, del resto in tutta Italia. Tuttavia molte di queste piante provengono dal porto di Rotterdam (Olanda), ove però non si sono mai verificati casi di contagio da Xylella Fastidiosa.
Il nuovo ceppo di XF viene subito definito sub-specie Co.Di.Ro., molto simile alla sub-specie Pauca, presente in Costa Rica, e si ritiene che possa attaccare gli ulivi. Tuttavia non vengono forniti i test di patogenicità della nuova sub-specie di batterio.
Ad ogni modo dal 18 al 25 novembre 2014 si svolge un audit europeo sul territorio e vengono analizzate 13.250 piante, di cui solo 234 ulivi risultano positivi alla presenza del batterio. Non si spiega il motivo per cui il Commissario Straordinario per l’emergenza Xylella in Puglia, Giuseppe Silletti, poco dopo inizia a parlare di un milione di ulivi infetti da sradicare (Vedi).
Difatti sia l’Audit DG (SANCO) sia l’EFSA hanno ritenuto, più volte, di evidenziare che siano pochi gli alberi in cui è presente il batterio e che, comunque, non vi sono ancora riscontri scientifici sulla patogenicità del batterio, incoraggiando le Istituzioni italiane a potenziare la ricerca.
In questa fase la Commissione Europea è cauta e chiede più volte alle autorità locali (Regione e Ministero) di definire con precisione i focolai in cui è presente il batterio. Nonostante il numero esiguo di piante campionate e nonostante i vari focolai siano sorti a macchia di leopardo (all’epoca si parlava di diversi focolai su Gallipoli, Trepuzzi, Sternatia, Caprarica di Lecce, comuni lontani tra loro), la Regione Puglia, di concerto con il Ministero, tramite il Comitato Fitosanitario Nazionale, dichiara gran parte della Provincia di Lecce come zona infetta (vedi). E’ evidente che la Commissione Europea, rilevato ciò, emana una Decisione di Esecuzione (ossia un atto amministrativo europeo) in cui impone di eradicare il batterio nella zona infetta e di stabilire una zona cuscinetto a ridosso tra la Provincia di Lecce e quella di Brindisi.
Nel testo della Decisione si legge che “(…) le autorità italiane hanno effettuato indagini nelle zone infette e nelle zone circostanti per accertare la presenza e la natura dell’organismo specificato. Da tali indagini sono emersi risultati preliminari sufficienti a consentire l’adozione di misure più precise”.
Le misure saranno via via sempre più stringenti, fin quando, nel 2015, si deciderà di estirpare le piante infette e tutte le piante sane in un raggio di 100 metri da quella infetta. Questa triste decisione sarà però il risultato di una gestione molto approssimativa da parte dell’Italia sulla questione, tanto che innervosirà parecchie volte la Commissione Europea, che minaccerà più volte l’Italia di aprire una procedura d’infrazione.
Ad ogni modo in tutto questo tempo i riscontri scientifici non verranno mai pubblicati e si procederà spesso ad allarmare l’opinione pubblica a mezzo stampa, come quando si dirà che occorre estirpare un milione di piante (parole di Silletti e di Boscia, del CNR) o che bisogna irrorare tutta la penisola salentina di fitofarmaci, anche utilizzando mezzi aerei (parole dell’ex Assessore Nardoni), o come quando, nel marzo 2015, poco prima della domenica delle Palme, una nota di Coldiretti invita tutti i cittadini salentini ad evitare di far benedire i ramoscelli d’ulivo. Perché? Perché “si vuole evitare la diffusione di una epidemia che sta facendo strage di piante secolari che dal Salento in Puglia potrebbe estendersi in tutta Europa” (leggi). Peccato che sia pacifico che il batterio di XF abbia bisogno di un vettore per potersi diffondere (la c.d. sputacchina) e che, come spesso ricordato dall’Osservatorio Fitosanitario Regionale, lo spostamento dei ramoscelli d’ulivo o del materiale da risulta non comporterebbe la diffusione del malanno poiché il batterio (qualora fosse il diretto responsabile del complesso) non è sporigeno come i funghi ma necessita di un vettore che predilige la linfa fresca.
Dunque non si comprendono le ragioni di tanto allarmismo e non si comprende come si possa creare così tanta apprensione nonostante i risultati ufficiali non evidenzino una notevole diffusione del batterio. Anzi, i risultati evidenziano che il batterio è presente anche in piante prive di disseccamento o che in alcune piante disseccate il batterio sia assente. E quindi? La Xylella può essere definita, stando a quanto viene evidenziato dai vari audit, la causa principale del disseccamento delle piante?
Ad ogni modo per tutto il 2015 la Puglia meridionale è oggetto di interventi emergenziali volti ad abbattere quante più piante possibile, come accade a Oria, nel brindisino, dove vengono abbattuti diversi ulivi secolari. Perché nel frattempo si viene a sapere che la Xylella è arrivata nel brindisino, grazie ad alcune analisi fatte effettuare da alcuni proprietari terrieri del posto.
Le analisi visive
A proposito di analisi, tutti gli atti normativi ed amministrativi prodotti finora parlano di esami visivi per confermare la presenza del batterio di XF e di eventuali esami di laboratorio per acclararne la presenza. Dunque i commissari fitosanitari, secondo tali norme (in particolare i DM 26.09.14 e 19.06.15, oltre che il Piano Silletti), possono decretare la presenza del batterio sulla base di un esame oculare che testimoni praticamente la presenza di foglie o di rami secchi e quindi procedere all’abbattimento. Il prelievo di campioni, secondo tali normative, può essere effettuato in periodi opportuni sulla base di linee guida adottate con successivi provvedimenti. Nel frattempo, come è accaduto ad Oria, vengono abbattute ben 47 piante di ulivo basandosi solo su esami visivi, ma senza essere sicuri che in quelle piante fosse ospitato il batterio di XF.
E comunque gli esami di laboratorio, per tutto il periodo di vigenza delle normative in questione, possono essere svolti solo dal CNR di Bari e dagli istituti convenzionati, presenti solo in Puglia. Ciò è dovuto al fatto che non si possono movimentare campioni di piante presuntivamente infette onde evitare lo spargersi del batterio sul territorio nazionale ed internazionale. La motivazione è ragionevole, ma non lo è stata quando è stata trovata una pianta forse infetta da Xylella in Liguria e un suo campione è stato inviato a Bari per effettuare l’analisi. Si è poi saputo che la pianta non era infetta, ma come mai i campioni di piante pugliesi non possono essere spediti altrove (per evitare il diffondersi della malattia), mentre il campione della pianta ligure s’è fatto tranquillamente 1000 km, fino in Puglia? (Leggi).
Il fatto che nessun Ente di ricerca, al di fuori di quelli pugliesi, possa effettuare analisi e che abbia l’obbligo di non diffondere i risultati delle ricerche scientifiche senza preventivamente informare gli organi competenti pugliesi (V. art. 6 del DM 26.09.14), ha lasciato a molti il dubbio che non si voglia in alcun modo favorire la ricerca scientifica sulla patogenicità del batterio di XF, sui risultati matematici della sua diffusione e sul suo ruolo nel complesso del disseccamento rapido dell’ulivo.
Xylella, risorse e prospettive
Per lungo tempo si è detto che la Xylella sia una concausa del disseccamento degli ulivi, poi, però, all’improvviso, grazie alla stampa locale e al mondo accademico pugliese, si è detto che la Xylella è la causa principale. Può darsi, ma al momento non v’è alcuna pubblicazione scientifica che supporti tale tesi. Come già detto, alcune piante in cui è presente il batterio sono sintomatiche, altre asintomatiche, dunque non v’è un rapporto causa-effetto certo e incontrovertibile.
Tutto ciò, però, non importa all’Europa, alla quale interessa solo che il batterio – patogeno o no – non si diffonda in Italia e in Europa. Quindi da un lato l’Europa chiede di contenere il batterio nel territorio pugliese (va detto, a proposito, che il batterio, una volta che si radica in un territorio diventa quasi impossibile eradicarlo) e dall’altro lato la Regione Puglia non ha adottato tutte le misure utili a comprendere il fenomeno, utilizzando le risorse messe a disposizione solo per effettuare le analisi di laboratorio volte a sapere se il batterio sia presente nelle piante. E quindi, in buona sostanza, accontentare l’Europa.
Infatti andando a spulciare l’ultimo audit DG(SANTE) 2016-8794 – MR (che si può scaricare qui) si scopre, tra le altre cose, che “Per il periodo di dodici mesi precedente al febbraio 2016, quando era in vigore lo stato di emergenza, il MIPAAF ha stanziato 3 milioni euro alla Puglia per i controlli della Xf. Nel 2015 le autorità regionali hanno utilizzato circa la metà di questa somma, restituendo la parte restante al governo centrale”. Inoltre “nel 2016 la Puglia ha stanziato 7 milioni di EUR dal suo bilancio regionale per le attività di controllo legate al focolaio di Xf. All’epoca dell’audit, circa il 60% di questa somma era stato impegnato. Gran parte dello stanziamento è stato utilizzato per finanziare l’ARIF, il sistema informatico correlato e i laboratori”.
Insomma, è curioso che per molti anni la Regione Puglia abbia detto che non ci sono risorse per lo studio del batterio, ma poi si scopre che queste risorse o non vengono utilizzate oppure servono per finanziare l’ente regionale che si occupa dei monitoraggi e degli abbattimenti.
Il problema è che, ad oggi, la diffusione dei disseccamenti non è stata arrestata e non si conoscono ancora le cause. Attualmente l’emergenza Xylella lambisce la terra barese, dove l’olivicoltura è una delle componenti principali dell’economia del luogo.
Il batterio si diffonde, ma non la ricerca scientifica che ad oggi pare non abbia ancora prodotto risultati soddisfacenti in termini di comprensione del batterio e della sua patogenicità sulle piante d’ulivo. Già, perché se dal 2009 ad oggi, cioè da quando sono arrivate le prime segnalazioni, avessero aperto la ricerca a numerosi Enti, sia nazionali che internazionali, forse non sarebbe stato necessario ricorrere all’uso smodato di fitofarmaci per ammazzare il presunto vettore del batterio (la c.d. sputacchina) e si sarebbe magari capito che la Xylella è forse una concausa del disseccamento, con tutto ciò che ne consegue in termini di cure efficaci per gli ulivi malati.
Quindi non si sarebbe arrivati alla conclusione che bisogna avvelenare ulteriormente le terre, per ammazzare il presunto vettore, ma sarebbe sufficiente utilizzare una metodologia di cura delle piante che tenesse presenti diversi fattori di disseccamento, e non uno soltanto. Forse. Chissà.
Resta comunque il fatto che fino ad oggi non v’è stata assoluta chiarezza né da parte delle Istituzioni né da parte della comunità scientifica locale e tutto ciò ha contribuito allo scontro con la popolazione che si è opposta agli abbattimenti sia giudizialmente (sono stati tanti i ricorsi al TAR presentati dagli olivicoltori pugliesi) sia ricorrendo alle proteste forti (blocchi stradali e ferroviari, ecc.). Ma se anziché decretare stati di emergenza, misure forti e proclami allarmistici si fosse proceduto al dialogo e all’apertura della ricerca scientifica, oggi staremmo raccontando un’altra storia.
Per concludere vorrei tentare di dare una risposta al quesito iniziale. La Xylella non è una bufala né è un problema da prendere sottogamba, com’è accaduto finora. Ma è una semplificazione imbarazzante definirla la prima e unica causa del disseccamento degli ulivi in Puglia. Quindi, di fatto, non è nemmeno il problema, è uno dei problemi. E comunque dobbiamo metterci in testa che alla Commissione Europea non importa conoscere l’eziologia dei disseccamenti, quanto evitare che il batterio si diffonda. Con quest’approccio dubito che arriveremo mai ad una soluzione efficace in termini di comprensione e lotta al batterio. Del resto dai vari audit che si susseguono dal 2014 ad oggi si capisce che l’unica cosa che importa è monitorare e bloccare l’avanzata del batterio, mentre pochi e sparuti cenni vengono fatti nei confronti della ricerca.
Se dunque si allarga la ricerca scientifica sull’argomento, se le risorse vengono utilizzate anche per finanziare Enti di ricerca e studi sull’argomento, si possono trovare sicuramente metodi per curare le piante, altrimenti l’argomento Xylella si, Xylella no continuerà ad essere l’ennesimo argomento da tifo da stadio, dove tutti possono esprimere la propria opinione, tranne quelli che ne avrebbero titolo.
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