Legge Fiano, ovvero curare un tumore con l’aspirina

vini gadget fascisti emilia romagna

E’ passata alla Camera dei Deputati la c.d. Proposta di legge FIANO (ed altri): “Introduzione dell’articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista”. Scritta male e pensata peggio.

Cosa dice questa proposta di legge?

Introduce un nuovo articolo nel codice penale, il 293-bis, rubricato Propaganda del regime fascista e nazifascista.

“Chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici”.

Detto in soldoni, questa sarà (se passerà anche in Senato) una legge anti-gruppi-facebook e anti-gadget. Infatti la proposta di legge mira a punire, oltre alla diffusione di video o immagini, anche il commercio di gadget e prodotti che raffigurano personaggi o simboli dei regimi fascista e nazista.

E’ una proposta di legge fatta male. Perché?

Per varie ragioni, formali e sostanziali. Partiamo dalla ragione sostanziale, la più importante.

Come il titolo – provocatoriamente – descrive, questa proposta di legge – a differenza delle vigenti Leggi Scelba del 1952 e Mancino del 1993 (su cui ci tornerò a breve) – introduce una sorta di reato d’opinione che mal si confà in un sistema che vuol definirsi democratico. Ma, ancor peggio, mira ad eliminare le conseguenze e non le cause del problema. Infatti, esattamente come fa un qualsiasi tizio di ridotte capacità cognitive che tenta di curare un tumore con l’aspirina, così questa proposta di legge cerca di eliminare i sintomi e non il malanno.

Giusto per fare qualche esempio, il proponente, nelle sue intenzioni (leggile qui) non si pone l’obiettivo di educare e formare i giovani e i meno giovani alla cultura democratica (non antifascista. Tutti gli anti sono sempre periocolosi), non tenta di analizzare le cause del dilagare di gruppi e organizzazioni di ispirazione violenta e antidemocratica (non solo fasciste, ma anche di altro genere…), non si pone nemmeno una domanda su qual è l’humus culturale in cui si formano queste persone che inneggiano al fascismo e alla violenza. No. Punisce il commercio. Punisce chi ostenta i simboli. Punisce, insomma. Opera senza diagnosi. Cura senza anamnesi.

Secoli di giusnaturalismo vengono, con questa proposta di legge, buttati nel cesso. Fior di filosofi del diritto e giuristi illuminati hanno sempre parlato della sanzione penale come extrema ratio. Qui invece di colpo si ritorna al positivismo di cinquecentesca memoria. Il reato si confonde con il peccato, la giustizia diventa repressione, le streghe vengono bruciate e gli eretici vengono torturati e giustiziati. Solo per aver espresso opinioni discordanti da quelle del Sovrano. Il reato d’opinione è un terreno minato e prima che diventi tale occorre aver esperito tutti i tentativi – extragiuridici – per impedire di doverlo utilizzare.

Ma il problema di questa legge è anche formale. E’ scritta male anche perché assurge a termini di legge fenomeni storici come “fascismo” e “nazismo”, gettando fumo negli occhi alla gente che invece, oggi, subisce nuove e più insidiose forme di regimi mascherati. Elevare un concetto storico a forma di Legge, come fosse ontologico e universale, equivale a trattare quello legislativo come uno strumento temporaneo e preda della volontà del Sovrano, non come dovrebbe essere: lo strumento principale di uno Stato di Diritto, quello che, secondo N. Bobbio, è lo Stato dei Cittadini.

Le Leggi Scelba e Mancino basterebbero per arginare il fenomeno

La Legge Scelba (1952), ancora in vigore, vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista e l’apologia del fascismo. Secondo Fiano, tale legge non basta per arginare il fenomeno del “braccio teso” o del commercio di prodotti di stampo fascista.

Mi dispiace appurare che il deputato Fiano non abbia ben chiaro il concetto di interpretazione della legge, perché solo leggendo il testo della Legge Scelba, si capisce facilmente che viene punito il tentativo di riorganizzare il partito fascista, il quale ricomprende anche tutte le attività volte “alla esaltazione di esponenti, princìpi, fatti e metodi propri del predetto partito”, inclusemanifestazioni esteriori di carattere fascista” (art. 1). Più chiaro di così? A cosa serve una nuova fattispecie di reato quando quella esistente può essere applicata? Non sarebbe stato sufficiente aggiornare la Legge Scelba? No, perché non sarebbe stata mediaticamente efficace.

Inoltre, cosa di non poco conto, la Legge Scelba si pone la finalità di “far conoscere in forma obbiettiva ai cittadini e particolarmente ai giovani delle scuole, per i quali dovranno compilarsi apposite pubblicazioni da adottare per l’insegnamento, l’attività antidemocratica del fascismo” (art. 9).

Cosa che a Fiano e al PD non passa manco per l’anticamera del cervello. Formare? Informare? No, punire.

Il problema è che l’attuale classe politica soffre della sindrome da legge, per cui ogni elemento contingente dev’essere regolato da una specifica legge, senza magari curarsi di interpretare e applicare quelle esistenti che, specialmente se più vecchie, sono scritte bene e si pongono l’obiettivo di essere quanto più universali possibile.

La Legge Mancino (1993), poi, completa il quadro, in quanto punisce chiunque faccia propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Le due leggi, insieme, di per sé basterebbero ad arginare il fenomeno. Ma Fiano guarda la punta del proprio naso e non vede oltre. Non vede che le due leggi sono sufficienti, che sono scritte meglio della sua proposta, che punire non è sempre la soluzione migliore e, soprattutto, che questi fenomeni vanno analizzati, compresi e curati alla radice, con terapie adeguate e non con una semplice aspirina, che magari leva i sintomi, giusto per un po’, ma la malattia è ancora lì, e avanza inesorabile.

iPhone X e le nuove frontiere del controllo sociale

iPhone-X

Mi chiedo se gli utenti Apple che acquisteranno il nuovo iPhone X sappiano quanto è paradossale spendere tra 1189,00 e 1359,00 € (questo è il range di prezzo imposto da Apple) per comprare un telefono che ha installato una tecnologia per il riconoscimento facciale. Detto in altri termini, davvero ci sarà gente che spenderà uno stipendio mensile (per alcuni anche lo stipendio di 2 mesi…) per dare la possibilità ai giganti dei Big Data di farsi controllare meglio?

Vediamo se così riesco a spiegarmi meglio.

Tutti ormai sappiamo che molte agenzie private o governative e quasi tutti gli hacker più talentuosi possono accedere con molta semplicità ai nostri smartphone e controllare praticamente tutto: gli accessi, i siti visitati, le app utilizzate e tutte le conversazioni fatte, la rubrica, l’agenda degli appuntamenti, le foto e i video e possono persino accedere alla nostra fotocamera e usarla come una sorta di “mezzo di intercettazione ambientale”.

Del resto le Iene, nel 2015 e nel 2016, hanno fatto quest’esperimento e hanno scoperto che è molto facile farsi “infettare” il telefono, anche tramite un messaggino innocuo (o uno script facilmente scaricabile se si visitano siti pericolosi o app non certificate) per cui il telefono può essere controllato senza che noi ce ne accorgessimo.

Sappiamo anche un’altra cosa. Se è vero che normalmente la Magistratura attua forme di intercettazione solo in caso di notizie di reato e in fase di indagini (con tutte le garanzie imposte dalla Legge) è anche vero che le agenzie di sicurezza governative non hanno questi limiti e che le Società di Big Data e gli hacker ne hanno ancor meno. Ognuno ha diverse finalità: i Governi (teoricamente) agiscono per sicurezza nazionale, le aziende di Big Data lo fanno (prevalentemente) per scopi commerciali (anche se ultimamente si stanno orientando verso forme di monitoraggio e controllo sociale…) e gli hacker? Beh, alcuni per finalità politiche, altri, invece, per vera e propria criminalità organizzata, se non peggio (il terrorismo, per esempio, oggi sta inseguendo queste nuove frontiere di controllo). Quindi è evidente che gli smartphone – quegli oggetti in cui ormai abbiamo messo tutta la nostra vita sotto forma di foto e video, contatti, applicazioni, conversazioni – rappresentano l’oro per tutti quei soggetti che – con le finalità più disparate – vogliono accedervi, controllare e, perché no, manipolare.

Ma finora c’è stato un limite. Non era possibile associare un nome e una storia (quella contenuta in ciascuno dei nostri dispositivi) ad un volto. Ora, con il nuovo iPhone X, ciò è possibile.

E’ vero che i vertici Apple hanno dichiarato che FaceId (la tecnologia per il riconoscimento facciale) non conserverà in un database i volti e che l’app, secondo Edward Snowden è robusta, ma è lo stesso Snowden che in un tweet, ha dichiarato che questa tecnologia sarà oggetto di abusi.

Edward_Snowden
Edward Snowden

Edward Snowden era tecnico della Cia e di recente ha pubblicato tutte le tecniche e i programmi di sorveglianza di massa che il governo americano e quello britannico attuavano all’insaputa di milioni di cittadini. Lui, per aver ricondotto questa tematica nell’alveo democratico, è stato costretto ad esiliare in Russia, in attesa di conoscere il proprio destino.

Sembra anche irrisorio il concetto per cui la tecnologia è robusta e non sarà preda facile di attacchi informatici. E’ scontato dire che l’informatica non è una scienza esatta né perfetta e che le falle si trovano sempre. Anche i sistemi più impenetrabili nascondono, nel proprio codice sorgente, qualche bug. Del resto l’informatica è un’attività umana e come tale non è mai esente da rischi.

Tanto non ho nulla da nascondere

Questa è la frase che sento dire più spesso quando parlo di Big Data, privacy e controllo sociale.

In effetti è vero. Queste tecnologie sono utili per finalità di sicurezza, per prevenire e contrastare i crimini o le attività terroristiche. Del resto una tecnologia simile, unita alla tecnologia di riconoscimento delle impronte digitali (e presto vedremo queste due tecnologie su tutti i dispositivi in commercio) è davvero utile per finalità di pubblica sicurezza. Ma dovremmo avere davvero il prosciutto sugli occhi se non dovessimo riconoscere che in questa materia ci sono Società gigantesche e lontane dalle regole democratiche che ne approfittano per mere finalità commerciali e per attuare esperimenti sociali di massa. E’ il caso di Facebook (qui ne ho parlato), di Google e di circa una trentina di altre Società che sfruttano i Big Data per riconoscere le persone, delineare i loro gusti e attuare pratiche commerciali volte a vendere. Ma non solo. Anche a orientare, persino manipolare.

E poi, diciamoci la verità, davvero ci fa piacere sapere che qualcuno di cui non conosciamo nemmeno l’esistenza ci spia, ci profila, ci controlla e ci manipola? Davvero siamo impassibili davanti all’ipotesi che qualcuno conosca le nostre più intime faccende e le colleghi a un volto? Non parlo solo di banali scappatelle o litigi tra amici e familiari su WhatsApp o su Messenger di Facebook, ma sul nostro stato di salute, sulle nostre conversazioni che riteniamo intime, sui nostri desideri che non confessiamo, sulle nostre inibizioni che riteniamo di custodire nella sfera privata e su tutto ciò che fa parte della nostra interiorità.

Pensa a come questa tecnologia possa rendere facile la vita a un possibile regime dispotico e antidemocratico. Pensa a quanto sarà facile monitorare, associare delle conversazioni a un nome e un volto e poi imbavagliare con i modi più disparati le opinioni diverse dalla “cultura dominante”, pensa a quanto sarà facile controllare le comunità locali che magari lottano contro le decisioni del governo per la tutela del proprio ambiente e della propria salute, pensa a quanto sarà facile egemonizzare le diversità culturali, sociali, individuali, non solo da parte dei governi, ma soprattutto della cultura globalista.

E infatti siamo così convinti che rischiando di mostrare il nostro Io tramite un dispositivo non saremo poi preda dell’omologazione delle nostre individualità? Del resto l’omologazione culturale parte proprio dalla conoscenza delle diversità sociali e individuali e dalla loro lenta erosione. L’erosione che parte proprio da quel dispositivo con cui, forse, starai leggendo quest’articolo.

Lercio e gli anti-vax

lercio vaccini

Non ho mai voluto prendere posizione sulla diatriba pro-vax / anti-vax, anche perché ritengo l’obbligo vaccinale un’imposizione eccessiva e, sotto certi versi, ingiustificata, ma la tematica è stata affrontata in modo forzoso dal Governo in una sorta di risposta di pancia alle sempre più eccessive reticenze, da parte di numerosi genitori, nell’assolvere al dovere di vaccinare i propri figli, per evitare l’insorgenza di malattie che ritenevamo superate da tempo.

Insomma, su questo tema tutti hanno torto e tutti l’hanno affrontato nel peggiore dei modi. Il Governo perché impone con legge un dovere igienico-sanitario che spetterebbe ai genitori e che, fino ad oggi, è stato assolto in modo pressoché sistematico senza grosse ripercussioni; i cosiddetti anti-vaccinisti perché, spesso preda di false notizie, complottismi da quattro soldi, pareri di pseudo-scienziati e leggende metropolitane, mettono in serio rischio la salute pubblica, evitando ai propri figli anche le vaccinazioni minime.

Pro-vax e anti-vax, in questi mesi, se le danno di santa ragione a suon di post, commenti, condivisioni, tweet e dibattiti televisivi e digitali, in una sorta di epopea in cui soprattutto i no-vax muovono accuse, allarmi, urla e insulti variopinti, prospettano oscure trame ordite tra Governo e grandi Aziende farmaceutiche per fare affari d’oro sulle spalle dei poveri italiani e propongono dissertazioni scientifiche – fatte rigorosamente sui social – basate su tanti proclami ma pochi contenuti tecnici. Del resto se un medico no-vax o pro-vax spiegasse scientificamente l’utilità o meno dei vaccini, con (doveroso) linguaggio tecnico e con grafici, dati, analisi, chi li capirebbe? Nessuno, nemmeno un medico generico forse riuscirebbe a districarsi tra i meandri di esposizioni scientifiche così complesse. Ed è per questo che – fino ad oggi – la gente tendeva a fidarsi della Scienza.

Ma ora, soprattutto a causa del dilagare, su internet, di informazioni di basso profilo, facile comprensione e spesso di dubbia provenienza, e grazie alla nota propensione dell’italiano medio a imboccarsi qualsiasi cosa (ricordo che siamo il Paese con il primato assoluto in materia di analfabetismo funzionale), può capitare che persino un articolo web proveniente da un notissimo giornale di satira venga scambiato per vero e dia origine a centinaia di condivisioni la cui lettura è uno spasso nel delineare l’archetipo dell’analfabeta funzionale (e pure strutturale).

Tutto è iniziato con la condivisione di quest’articolo del Lercio, intitolato “La figlia di Roberto Burioni rifiutata dalla scuola: non è vaccinata”, da parte di un noto no-vax, un certo Salvatore Morelli, di professione logopedista (una specializzazione chiaramente votata alla profonda conoscenza dei vaccini), che – a suo dire – lo avrebbe condiviso per scherzo per sfottere il collega Burioni.

Qualunque sia stata la sua intenzione, il risultato è che l’articolo è stato ricondiviso da centinaia di persone, tutte che credevano alla bontà della notizia. Di seguito alcuni esempi

Ora, un paio di riflessioni.

Da quel che ne so, se uno vuol fare dell’ironia, lo lascia intendere. In questo caso il prode Morelli ha sì commentato la notizia con una frase vagamente ironica (Prof Roberto Burioni mai mi sarei aspettato questo da te, accompagnata da una faccina sorridente), ma non ha specificato la cosa essenziale: che l’articolo del Lercio era evidentemente un articolo di satira. Se lui l’avesse capito o meno non è dato saperlo, visto che il dott. Morelli non ha dimostrato di saper sottolineare l’ironia della faccenda.

lercio-vaccini-2
Il post del dott. Morelli

Ciò detto, va evidenziata un’altra cosa, che più mi rattrista e mi diverte allo stesso tempo.

Lercio esiste da diversi anni e tutti sanno che fa satira. Ma vabbè, facciamo conto che non tutti lo sanno.
L’articolo parte con “Epidemi (CO)“, notissimo paese in provincia di Como, gemellato con “Presiden (TA)“, paese d’origine della Boldrini (lei, chissà perché, non è stata citata dai no-vax). Ma vabbè, sta finezza non l’hanno colta tutti.
Cita un certo “Libero Di Scelta”, autore del famosissimo sito web “www.AMeNonMiFregate.it”. Ma vabbè, facciamo finta che non tutti hanno dimestichezza con nomi e domini.
Però – per dio(gene) detto il cane – sull’“analisi dell’ascendente ematoencefalico” e sulla cura “con i fiori di Bach o al limite con le palle di Mozart” poteva sorgere, tra i lettori, il seppur minimo sospetto che si tratta di satira, ma facciamo pure facile ironia o supercazzola? No, eh? Proprio nulla? Quindi questa è l’ennesima dimostrazione che la gente non capisce ciò che legge oppure condivide i contenuti e si fa un’opinione solo leggendo un titolo. E, dunque, potrei mai aderire alle teorie propugnate da questa gente? Non so, devo informarmi meglio sul tema vaccini. Quasi quasi interpello un fitopatologo vegetale, un nutrizionista o un veterinario.

Carpisa ti fa vincere uno stage aziendale!

vinci con carpisa stage aziendale

Lo ammetto, anche se le borse donna di Carpisa mi fanno cacare, ero tentato di acquistarne una solo per partecipare al grande concorso che mi avrebbe dato l’emozione di vincere nientepopodimeno che uno stage presso il loro fighissimo ufficio di Marketing&Advertising della sede di Napoli!

Wow! Non stavo nella pelle!

Poi, dopo la prima euforia mi sono un pochetto ripreso e ho iniziato a rimuginare.

“Un attimo” – ho pensato – “ma uno stage non è una forma di lavoro?”

“Eccheccapperi, certo!” – ho continuato – “è un lavoro, anche se viene spacciato per tirocinio formativo”.

“Quindi” – ho ancora continuato a pensare – “io dovrei comprare i loro prodotti per trascorrere un mese di lavoro aggratiss presso i loro uffici?”.

“Certamente”, ho nuovamente continuato a pensare, mentre l’occhio mi cadeva sul secondo punto del bando: Elabora il tuo piano di comunicazione richiesto (scopri i dettagli del progetto).

vinci_con_carpisa_stage_aziendale1

Come fossi travolto da un insolito destino sotto il cielo settembrino nubibondo, frescuccio e odorante di mosto, ho cliccato sul link (scopri i dettagli del progetto) e ho scoperto – nei dettagli – che avrei dovuto predisporre un vero e proprio piano di comunicazione aziendale.

“Aspetta, aspetta” – ho pensato (e cacchio quanto sto pensando ultimamente! Sarà che mi fa male?) – “questi non solo mi fanno comprare una borsa brutta, mi fanno fare uno stage di un mese aggratiss, ma devo pure fare il lavoro del loro fighissimo ufficio di Marketing&Advertising perché, molto probabilmente, non c’hanno più fantasia e idee e quindi si serviranno di queste trovate markettare per infinocchiarmi, farmi lavorare aggratiss e dargli pure degli spunti di idee sotto forma di un vero e proprio piano strategico?”

Dopo tutto sto pensare mi è venuto in mente Marx e la legge dello scambio di equivalenti e ho pensato: “ok, va tutto bene, Carpisa ha solo rispettato le leggi del mercato attuale: il lavoro non conta un cazzo, devi ringraziare iddio se ti fanno entrare in azienda aggratiss, sei solo un consumatore che deve pagare pure per lavorare e le tue idee le devi regalare in cambio di acquisti di merce. Quindi compri per lavorare.

Al ché sono andato a dormire sereno, steso su una brandina sotto un cielo nubibondo rinfrescato dalle leggiadre temperature settembrine e mentre mi addormentavo pensando a quei bei tempi in cui dovevi lavorare per comprare tutto ciò che ti serviva, tutto, tranne le orrende borse donna di Carpisa.