Zuckerberg ha siglato un accordo con Fox Sports per far trasmettere le dirette delle partite di Champions league su Facebook, per ora solo negli USA, ma presto, a rodaggio ultimato, questa opportunità per i calciofili potrebbe giungere pure in Europa e, chiaramente, in Italia. Il tutto fruibile gratuitamente, ovvio.

Dunque un altro passo verso il consolidamento del potere di Facebook è stato fatto. Con l’apertura alle dirette delle partite di Champions (che presto potrà estendersi anche ad altri campionati) Zuckerberg vuole ottenere due risultati: garantirsi un introito maggiore grazie al mercato pubblicitario e ottenere un maggiore numero di utenti.

Ma è solo per questioni economiche che il magnate di internet ha effettuato quest’operazione? Si, certo, ma gli obiettivi indiretti e non meno importanti sono altri.

Lo strapotere di Facebook e il do ut des

Anzitutto l’intenzione, non sempre celata, è quella di trattenere quanto più possibile le persone sul suo social.

Non è un segreto che in questi anni i dirigenti di Facebook abbiano fatto di tutto per favorire la presenza continua e costante della gente sul proprio social: attraverso la possibilità di postare video e dirette, l’introduzione dei giochi e del collegamento ai principali giochi per Android e iOS, il potenziamento dei gruppi, il proliferare di pagine di intrattenimento (spesso gestite da start-up finanziate o controllate da Facebook), l’introduzione dell’app “Stai bene? Dillo a Facebook” che ha permesso al colosso di essere, di fatto, il primo strumento da utilizzare in caso di situazioni critiche mondiali.

L’elenco è molto più lungo, ma ciò dà la conta della direzione che il social sta prendendo: essere parte integrante della quotidianità e dei gusti dei propri utenti, oltre ad essere uno strumento da utilizzare al posto di quelli tradizionali. E’ sufficiente vedere che ormai anche i comunicati stampa ufficiali o le campagne elettorali si svolgono prevalentemente su questo social.

Se leggiamo quest’ultima “conquista” – la diretta delle partite di calcio – nell’ottica della società del controllo perfezionata da Zuckerberg e pochi altri, sappiamo la direzione che vogliono prendere: renderci sempre più dipendenti dallo strumento social e invogliarci a trasmettere (volenti o meno) quanti più dati possibili circa i nostri gusti, le nostre personalità, le nostre più intime emozioni, il nostro vissuto e tutto ciò che può essere in qualche modo catalogato, ricalcolato e rivenduto(ci) sotto forma di pubblicità e di subdola persuasione.

Certo è ovvio che questo famelico bisogno dei nostri dati non può essere richiesto in modo coercitivo né estorto con più o meno efficienti tecniche di persuasione. Nossignore, al giorno d’oggi bisogna regalare dei contenuti in cambio di innocue cessioni di dati personali.

E così io ti regalo le partite, ma tu mi cedi, più o meno consapevolmente, qualche informazione, innocua (sic!) in confronto al vantaggio che ne otterrai!

Il test funziona bene

Del resto queste operazioni vengono fatte tutti i giorni, con i giochini stupidi tipo “quale animale saresti?” o “qual è la tua vera anima gemella?” oppure “quale sarà il tuo lavoro tra 10 anni? Clicca qui per scoprirlo”, dove l’utente, senza nemmeno saperlo, regala preziose informazioni personali, ma in cambio saprà con certezza quale animale sarebbe, con quale altro utente Facebook si sposerà e che lavoro farà (sic!!). Il tutto felicemente contornato da condivisioni facebook (spesso forzate, nel senso che il risultato si auto-condivide) e consequenziali portate virali.

Ora, prendi quest’operazione e spalmala su circa 35 milioni di potenziali fruitori delle partite di calcio (dato approssimativo, ma realistico e in crescita quando il sistema sarà adottato anche in altri Paesi del Mondo) e capisci la portata epocale di questa scelta.

La condivisione ai tempi dei social

E poi, diciamocelo, non è poi così bello guardare le partite di Champions (o qualsiasi altra cosa) su un PC o su uno smartphone.

Anche quest’aspetto fa parte del percorso individualizzante approntato dalla cultura post-moderna, che ci vuole sempre più socializzanti nel virtuale ma sempre più soli nel reale.

La partita, per me, è sempre stata un’occasione per stare insieme, per condividere (realmente e non virtualmente) emozioni, sogni e dialoghi, urla e sfottò, occhiate e abbracci. Io che non sono un tifoso di calcio e non lo seguo minimamente, l’unica cosa che apprezzo in questi eventi è la dimensione dello stare insieme. E secondo voi quanto tempo ci vorrà prima che anche quest’aspetto venga inesorabilmente trasportato verso la dimensione dell’isolamento o – quantomeno – della regressione sociale? In altre parole, con quanti amici riesci a condividere uno schermo di un telefono o di un PC? E anche se dovessi guardare la partita in una stanza o una piazza piena di persone – ognuna col capo chino sul proprio dispositivo – come si concretizza la dimensione dello stare insieme e l’emozione collettiva di condividere non uno, ma tanti schermi?

Insomma, facciamo attenzione, perché se è vero che i social hanno ridotto le distanze spazio-temporali e ci permettono di condividere parole, immagini e pensieri con persone di tutto il mondo in tempo reale, è pur vero che hanno allargato le distanze dell’anima e delle emozioni che, c’è poco da fare, si concretizzano nel reale e non in un misero scambio di like. Usciamo dai social, altrimenti finiremo per essere soli e sempre più analfabeti (in ogni senso).

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