Una poesia dedicata al grande Edoardo De Candia, artista umile ed eccentrico, sopra ogni riga. Eclettico, geniale e al contempo poco incline ad indossare le maschere sociali tanto adorate – invece – dai benpensanti leccesi, proprio come il suo caro amico, Carmelo Bene. Entrambi rappresentavano, in un Salento molto più all’avanguardia di oggi, quegli intellettuali organici alle masse popolari che confliggevano con il sistema di potere che presto avrebbe distrutto non solo la classe dei contadini e degli operai, ma anche la piccola borghesia, oggi ridotta al nichilismo sociale. Eppure sia Edoardo, con le sue opere pittoriche, sia Carmelo, con la destrutturazione del linguaggio, denunciarono tutto ciò.

Al contempo un’altra intellettuale, Rina Durante, tesseva la tela della riproposta della musica popolare, oggi ridotta a mero mercato.

A loro e agli intellettuali del Sud che hanno dato vita ad una stagione grandiosa nel grigiore del qualunquismo borghese va tutta la mia riconoscenza e l’invidia di chi è cresciuto allora, accanto a loro.

Edoardo de Candia

Edoardo

Ahi Edoardo,
tu che giravi nudo
per le vie di Lecce
a vendere
musica per i sordi
colori per i ciechi
sapori
per chi non ha gusto
odori
per chi non ha olfatto.
I tuoi quadri
hanno il sapore
dell’astratto
di quell’etereo e fulmineo
sogno
fatto di metamorfosi
e sottile ironia.
Io che,
tu e il maestro Bene
vorrei disquisir
di sogni e vagine
di arte e cazzate
non posso far altro
che dedicarti
quest’umile verso
vacuo e sognante
nell’attesa
d’inebriarci
di sciocchezze e di vino
nel limbo dei dannati.

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